29 set 2015

Catalogna, l'inutile tracotanza degli antistorici




Questi austeri signori, presi dalla lettura di documenti, hanno appena firmato il Trattato di Utrecht del 1713; agli amanti del periodo nel quale vivono, inorriditi dal girare la testa sul passato, cerchiamo di spiegare che quelle firme incidono ora pesantemente sul vissuto di milioni di Catalani. Ebbene sì sono passati trecento anni, molta acqua sotto i ponti  però la Storia fa capolino. Turbolenze e guerre sono scaturite con la morte di Carlo II, ultimo Asburgo di Spagna e dell’impero d’Oltremare, re di Napoli, Sicilia, Sardegna ecc.  La sua vita non è stata diversa da tanti senza rampolli, questi soggetti creano attese in parenti lontani e vicini; il re era nato malaticcio, e le monarchie europee intrecciate da parentele, avevano sempre avuto idee personalissime sul futuro della casa reale. Carlo aveva lasciato disposizioni perché fosse proclamato sovrano Filippo d’Angiò, figlio di sua sorella Maria Teresa, e nipote del re di Francia Luigi XIV; peccato che il moribondo aveva trascurato un particolare: sua sorella aveva rinunciato alla successione al trono spagnolo. Per questo intorno al cadavere si battono in molti, costruendo due schieramenti: da una parte la Francia e dall’altra l’Austria, l’Inghilterra, i Paesi Bassi, ai quali si uniscono altri. Dopo alcune battaglie la situazione si mette male, i francesi si vedono già sconfitti, quando per loro fortuna, muore l’imperatore d’Austria e, gli succede al trono Carlo VI d’Asburgo. A questo punto è subentrato il panico, perché il nuovo imperatore era anche il pretendente al trono di Spagna, se adesso lo diventasse per davvero, costruirebbe la dinastia più potente del mondo. Gli alleati, furbetti illustri, mettono a sedere sul tavolo la quasi sconfitta Francia e nasce il trattato di Utrecht. Filippo di Borbone diventa re di Spagna e la corona è separata da quella di Francia; l’Inghilterra avrà Gibilterra e le isole di Minorca e Baleari; l’Austria si deve accontentare dei Paesi Bassi spagnoli, del regno di Napoli, Sardegna, ducato di Milano, dei presidi in Toscana; insomma ognuno si porta a casa qualcosa. I Borboni cosa fanno per prima? Aboliscono la “Diputaciò del General” creata nel lontano 1359, un consiglio delle “Corts”, organismo in rappresentanza degli ecclesiastici, dei militari e del popolo; una sorta di commissione governativa delle corti catalane, ossia delle contee autonome, confederate all’inizio alla corona d’Aragona, e unite da cultura e lingua propria.  La “Diputaciò” sarà restaurata molto tempo dopo nel 1931, e nuovamente abolita dal dittatore Francisco Franco nel 1939. Ecco perché la Storia si fa beffa di noi mortali. La
Spagna con il ritorno della sovranità popolare pur concedendo autonomia alla Catalogna, si dimentica che la lotta antifranchista dei catalani fu sempre per riconquistare oltre la democrazia anche l’indipendenza; non ricorda inoltre che l’incoronazione di Juan Carlos di Borbone fu avversata dai nazionalisti, per niente estimatori dei Borboni e diventati repubblicani; che in Catalogna, si mischiano uomini e donne delle più diverse convinzioni politiche e culturali, per chiedere l’autodeterminazione dei popoli. Questa norma del diritto internazionale è considerata un principio “supremo e irrinunciabile”; qualunque popolo costretto da guerre o colonizzazioni, a vivere sotto una dominazione esterna, ha il diritto di acquisire l’indipendenza. Giusto o sbagliato, prescindendo dalle nostre idee personali, anche le regole dell’ultimo secolo darebbero ragione ai catalani. Ci sono dei se! Se è valido per i Catalani, molte sono le popolazioni a trovarsi in questa situazione, e l’Europa potrebbe subire un cambiamento radicale, alla faccia dell’utopica “confederazione europea”. Chi avversa questa idea, cercando d’essere più vicino alla propria comunità, più benevolo verso il vicino rispetto allo sconosciuto è spesso accusato di populismo, quasi fosse un vocabolo “boccaccesco”. Non è inutile rammentare la sua provenienza: è un movimento nato in Russia, ben prima della Rivoluzione d’Ottobre, si proponeva di cambiare radicalmente le condizioni di estrema povertà dei più umili, il popolo doveva essere il fondamento della società. Ecco siamo partiti dai re e siamo arrivati al popolo, e forse il problema nasce dal fatto che scomparsi re e nobiltà, non vogliamo essere “popolo” tirandoci sempre in dietro, con la prospettiva di alzare il livello, in uno scontro con i nostri simili. Desertifichiamo le comunità con idee mirabolanti, e generiamo nuovi mostri famelici, che svuotano dall’interno le nostre culture e tradizioni, svendendole a nuovi insospettabili invasori. Per questo viva “CATALUNYA”, l’identità non ha prezzo.