Fai paura anche da morto, e dopo tante promesse ecco nel mio piccolo ricordare un Uomo e un Vero intellettuale, certo meritavi maggior rilevanza di un blog semi sconosciuto.
“Nessuno è profeta in patria”
è un’espressione latina e si dice pronunciata da Gesù dopo che la sua liturgia
in sinagoga era stata accolta con freddezza. Il personaggio che vi narrerò non era
credente e mi aspetto una sua tiratina d’orecchio per questa mia similitudine,
tuttavia come tanti altri italiani che hanno avuto notorietà solo a posteriori,
Maurizio Liverani rientra perfettamente nella casistica, per questo sosteniamo con
forza sia innalzato al ruolo che gli sarebbe spettato in vita. È bene
specificare che non reputiamo la notorietà un valore di cui andare fieri, nei
tempi moderni è spesso sinonimo d’intrallazzi, vassallaggio, prostituzione e arrivismo,
intentiamo solo far conoscere ai giovani un UOMO che è stato un esempio
d’integrità intellettuale e che opponendosi alla corruzione è stato relegato ai
margini della società. Ne abbiamo molto bisogno per far ripartire la migliore
Italia e per farlo dobbiamo stimolare i nostri ragazzi ad avere molto coraggio
per scacciare dalla scena i cattivi maestri. Maurizio Liverani era noto anche con lo pseudonimo Mauro
Lirani e Ivanovich Koba, era nato a Rovereto nel 1928, oltre a giornalista era
anche regista e scrittore. Interessante notare come l’appellativo Ivanovich
Koba fosse lo stesso scelto da Stalin, ma prima di arrivarci al perché dobbiamo
dare uno sguardo alla sua vita. Nipote di
Augusto Liverani, ministro delle comunicazioni della Repubblica di Salò, il
sedicenne Maurizio partecipa alla Resistenza e aderisce al Partito Comunista.
Nel 1952 lo troviamo responsabile della rubrica degli spettacoli e poi di
quella culturale nella redazione del giornale “Paese Sera”, fu il primo ad
introdurre le stellette per valutare i film. Sembrava tutto andare per il
meglio, sennonché nel 1956 durante l’invasione sovietica dell’Ungheria Liverani
viene convocato dal noto politico comunista Giancarlo Pajetta intenzionato a
mettergli il bavaglio, infatti gli intima senza tanti giri di parole di
occuparsi di spettacoli e di lasciar stare l’Ungheria. Ci vuole molto meno per
trovarsi la strada intralciata e da quel momento Liverani si guadagna la prima
medaglietta di personaggio scomodo. Da lì diventa un controllato a vista e nel
1959 il settimanale “Lo specchio” lo definisce un deviazionista, la manina
neanche nascosta di quella valutazione era nientepopodimeno la Direzione
Generale del Partito Comunista. La sua carriera nel giornale e nel partito sta
per terminare ma nel frattempo aveva assunto come critico un giovane di nome
Dario Argento. Insieme rivolgono la loro
attenzione al cinema sebbene in campi diversi, Argento uscirà nelle sale con il
thriller “L’uccello dalle piume di cristallo” e Liverani con un divertente
ritratto dell’Italia dal dopoguerra al ’68 intitolato “Sai cosa faceva Stalin
alle donne?”, tra gli attori Helmut Berger e musiche di Morricone. Con questo
film vinse il premio di qualità alla Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia, tuttavia le parole di Pasolini che gli disse
“vedrai te la faranno pagare” furono presto confermate, infatti il film che a
Bologna nel Natale del 1969 era per numero di spettatori al secondo posto fu
fatto scomparire dalla giunta rossa. Curioso che dopo la caduta del Muro il
film presentato a Mosca ebbe un grande successo. Nella sua lunga vita
collaborerà con varie testate giornalistiche sempre fedele esclusivamente a sé
stesso. Uscirà nel 1976 con un altro film “Solco di pesca” protagonista Gloria Guida,
a suo dire era stato un tentativo di ammonire senza falsi moralismi, sui
paradossi del consumo di sesso.
Questo
era il Nostro! Certo ha vinto qualche premio, quelli per “intenditori”, con le
luci abbassate. In ogni caso Liverani sarebbe stato ritroso alla ribalta, gli
sarebbe bastato potersi confrontare liberamente in dibattiti, poter dare la sua
interpretazione e visione di quell’Italia a lui ben nota del dopoguerra, in
fondo è questo che gli è stato totalmente negato.
Riceve
a Roma nel 1971 il Premio qualità del Ministero dello
Spettacolo per il film “Sai cosa faceva Stalin alle donne?”
A Fiuggi nel 1997 il Premio Roland Topor
per la satira politica con il saggio “Dal Polo al pollo”.
Ad Ancona nel 1999 la Medaglia d'oro al
giornalismo.
A Roma nel 2010 il Premio Marcello
Sgarlata 2010 con la bellissima intitolazione: - Per non aver mai abdicato alla
propria integrità di pensatore e alla irrinunciabile vocazione di propugnatore
delle verità storiche, politiche e culturali, incurante tanto delle seduzioni
quanto degli assalti di un conformismo che opprime e troppo spesso domina.
A Marta
nel 2013 il Premio Scrapante con un’altra stupenda dedica: - Per i valori
sociali artistici e culturali ispirati
alla sensibilità umana, al rispetto reciproco, alla solidarietà, alla dignità
del comportamento alla semplicità del vivere.
Nel 2013
il Premio Mario Pannunzio come classificato alla sezione "Giornalismo e
Saggistica" per il saggio “Le fuggevoli nuvole del divismo si
dissolvono con Audrey”.
A Roma
nel 2017 La cineteca Nazionale gli ha dedicato una rassegna organizzata da
Luca Pallanch intitolata “Sai cosa faceva Maurizio Liverani al cinema?”
Come regista oltre per i due film menzionati,
ricordiamo i documentari: Se questa è follia... (1993); La strategia del bianco (1994); Ben Shahn: un tragico umorista (1995); I colori di Sara (1997); Gli eroi sono stanchi - I gessi di
Enrico Mazzolani (1998).
Opere letterarie oltre al saggio
di satira politica “Dal Polo al pollo” (1997), Scipioni editore, è da
leggere il romanzo “Disamore, ovvero la trascendenza verso il basso”, edito
da Monduzzi (1998).
Aderendo al progetto
editoriale di Barbara Soffici per valorizzare e recuperare i suoi scritti ha pubblicato
tra l’altro: “Le fuggevoli nuvole del divismo si dissolvono con Audrey”; “Il
cinismo al potere”; “Lassù sulle montagne con il principe di Galles”; “Sordi
racconta Alberto”; “Aforismi sospetti”.
Maurizio Liverani lo scorso
10 febbraio in una mattina come tante, mentre passeggiava nel centro di
Senigallia, cittadina che da anni lo ospitava, è stato colto da malore e ha perso
vita. Seppur ultranovantenne quello che mi lasciava stupefatta era il tratto
giovanile della sua penna. Non perdevo i suoi scritti nella rubrica da lui curata
“Fatemelo dire” della agenzia giornalistica “distampa”. I titoli erano scelti
con cura, la stilettata era sempre presente, ed ecco il “Nascere è fuori moda”
di pochi giorni prima della sua dipartita, dove scriveva che la parola futuro
ricorda un burro inscatolato, e malignamente aggiungeva quanto fosse
inconveniente essere nati soprattutto in Italia; nel “Dalle stelle alle stalle”
ci accompagnava nella da lui descritta intelligenza dialettica di Matteo Renzi; nell’ “Un comico da Santa
Inquisizione” ci spiegava che negare che Grillo abbia l’animo di Savonarola è
come sostenere che la neve annerisce i tetti; nelle “Strade tortuose della
democratura” ci ricordava che Eugène Ionesco, ai
sessantottini che sfilavano per le vie di Parigi, gridava: diventerete tutti
notai.
Ah sono troppi
i suoi scritti per elencarli tutti, vi esorto di cuore a leggerli su
“distampa.com” FATEMELO DIRE di Maurizio Liverani. Avrete spartiti dell’Italia
di oggi e di ieri, personaggi, curiosità, il tutto condito con immensa
conoscenza e esperienza. Non troverete fumo, ovvietà, solo l’acutezza di un
intelletto vivo e ben preparato. Non è importante essere o non d’accordo,
quello che viene dato è un’altra prospettiva, qualcosa su cui riflettere.
Se fosse stato come la
maggior parte di lorsignori che circolano, scrivendo come una marionetta
avrebbe avuto onori e gloria, anche perché aveva il dono della scrittura.
Purtroppo sapeva benissimo che per aprirsi la strada della popolarità doveva
fare compromessi, doveva abdicare alla sua libertà intellettuale e quello era
un valore troppo alto, nessun denaro o ribalta sarebbe stato abbastanza. L’essere
ignorato dev’essere stato assai duro, sebbene discrezione e semplicità fossero
sue qualità, tuttavia sentiva l’avere tanto da raccontare e aveva voglia, e
chissà, quanta del confronto. Abbiamo perso quello che sarebbe stato un ottimo
“magister”, e per la sua coerenza e onestà intellettuale gli dobbiamo un eterno
ricordo. Difficile allora non pensare a “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche e
al fatto che la sua opera sia un frammento dell’eternità.